Barbacarlo di Lino Maga

IL NOSTRO GIUDIZIO

Rusticità e complessità

Quell’aria burbera, un po’ imbronciata e forse sospettosa cela una serie di incontri straordinari – come fu quello con Luigi Veronelli – ma anche una serie di lotte che solo chi è sinceramente determinato riesce a sostenere. E a vincere. Lino Maga è l’autore del Barbacarlo – il vero e unico Barbacarlo! – vino che si è guadagnato a buon diritto una fetta di immortalità. A buon diritto, sì, ma un diritto fatto valere con la forza instancabile di chi dona tutto sé stesso per quello in cui crede e per quello che ama. È stato così, per il suo Barbacarlo.

Era il 1970 quando, con l’entrata in vigore della DOC Oltrepò Pavese, il termine Barbacarlo venne utilizzato per battezzare una sottodenominazione riconosciuta nel disciplinare e utilizzabile da più produttori per identificare il proprio vino, purché esso rispondesse a certi criteri geografici ed enologici. Lino Maga combatté, da allora, molte dure battaglie per riappropriarsi di ciò che era ancestralmente suo: il nome Barbacarlo – che era stato coniato in onore del bisnonno Carlo Maga – e la sua unicità, i suoi confini tracciati spontaneamente sulla collina del Porei e il metodo di vinificazione sviluppato sulle specifiche dell’annata. L’estenuante battaglia per riprendersi tutto questo costò alla famiglia Maga anni di grandi sacrifici ma, nel 1983, venne finalmente riconosciuta l’appartenenza del Barbacarlo ai Maga e, in fondo, dei Maga al Barbacarlo. Un legame, questo, inscindibile.

La rudezza e la schiettezza contadina connotano ogni chiaroscuro dell’espressione di Lino Maga, allo stesso modo con cui il tratto ruspante e quello più complesso convivono nel Barbacarlo. In ogni bottiglia – unico luogo in cui il Barbacarlo deve invecchiare – quell’uvaggio di Croatina, Uva Rara e Vespolina si racconta attraverso una personalità riconoscibile ma sempre diversa per caratteristiche, potenzialità di evoluzione e invisibili suggestioni, che variano di annata in annata e di bottiglia in bottiglia.

In una di esse, partorita dall’annata 2005, ciò che si respira è l’anima di un vino evoluto e denso di complessità. Alla cieca si direbbe più maturo dell’età che realmente ha. Inizialmente un po’ chiuso, accenna il suo bouquet su note di glicerina e cera che, in seconda battuta, cedono spazio alla componente floreale di rosa appassita, glicine e pot-pourri, su uno sfondo abbondante di spezie orientali e incenso. Sfuma, sul finale, in una nota animale di cuoio che emerge, insieme al bagaglio di complessità, con molta lentezza nel calice fermo, in attesa. L’ingresso di bocca mediamente morbido viene sorpreso dall’inaspettata espressione tannica astringente, decisamente disidratante. I sentori “antichi” percepiti all’olfatto si confermano al palato, dove, però, ostenta ancora una certa irruenza quasi giovanile.

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Sofia Landoni

Ha studiato le scienze agrarie, la musica e il vino, per poter unire tanti ingredienti differenti e creare gli abbinamenti più strani, necessari a raccontare qualcosa, forse di sé e forse degli altri. Affascinata dalle storie e dalle narrazioni, dal gusto e dall’armonia, oggi degusta e scrive per guide, riviste e redazioni, con la consapevolezza che le cose migliori non hanno bisogno di troppe parole.

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