Povero Diavolo

VALUTAZIONE

PREGI
DIFETTI

“Siamo giunti alla 1000ima pubblicazione, dopo 4 anni di girovagare per ristoranti per offrire a tutti, con passione e professionalità, uno specchio costantemente aggiornato della ristorazione italiana, europea e mondiale.
Proseguiremo su questa strada e ci auguriamo che i lettori, come sta accadendo da tempo, continuino a crescere e a seguirci con affetto.
Abbiamo chiesto ad uno dei nostri piu’ illustri amici, Enzo Vizzari Direttore delle guide dell’Espresso, di scrivere per noi la 1000ima recensione.

Abbiamo scelto lui per la stima e l’affetto che ci legano da tempo e lo ringraziamo per aver accettato il nostro invito. Il voto? Abbiate pazienza ed aspettate l’uscita della guida ai ristoranti de l’Espresso…”

Alberto Cauzzi

Grazie per l’ospitalità.

Mi pare giusto contraccambiare l’invito del sito a più alto tasso di parinofilia esistente, spiegando perché al Povero Diavolo la nostra Guida attribuisce il premio per il “Pranzo dell’Anno” 2013. Che, in realtà, non premia il singolo pranzo, l’exploit d’un giorno, d’un cuoco, d’un ristorante, bensì testimonia l’apprezzamento condiviso da più autori della Guida dopo diverse visite. Non senza aver ricordato che Pier Giorgio Parini fu il nostro “Giovane dell’Anno” nel 2010, diamo il benvenuto ai Poveri Diavoli – Stefania, Fausto e Pier Giorgio – nel club che annovera tra i suoi membri Davide Scabin, Enrico Crippa, Niko Romito, Mauro Uliassi… per ricordare gli ultimi.

Matura, solida, completa, laica e ghiotta: la cucina di Giorgio Parini, oggi.
Matura: ha sperimentato e non cessa di sperimentare, ma ha trovato e persegue con coerenza una sua linea, definita, riconoscibile e, quel che più conta, tutta e solo “sua”, perché i suoi piatti non assomigliano a quelli di nessun altro, al di là di certe assonanze e propensioni (Lopriore, Veyrat, tanto per fare due nomi).
Solida: no trucchi, no giochi di prestigio, piatti anche belli, sì, ma senza cedimenti calligrafici né accondiscendenza a certe derive estetizzanti (m’è capitato di vedere il libro di un bravo cuoco d’un albergo romano i cui piatti sembrano costruiti per essere fotografati più che per essere assaggiati).
Completa: c’è tutto, terra e mare, pasta e riso, agnello e piccione, patata e tartufo, l’issopo e il pelargonio, il dolce e l’amaro… e, soprattutto, in ogni piatto emerge chiaro e subito cogli l’ingrediente principe, cui il resto fa da complemento.
Laica: la sua tavolozza è aperta, comprende, come la bella casa in cui Giorgio lavora, il verde del prato e dell’orto, il bruno del bosco, il pastello dei fiori, il cupo della notte di Scorticata, che sono poi le fonti da cui trae ispirazione e ingredienti. Ma non usa materie e gusti come assiomi di una “religione”, bensì come tessere di un mosaico per sapori e piatti nuovi, diversi, mutevoli da un pranzo all’altro.
Ghiotta: perché è tanto, tanto “buona”, godibile, ogni boccone chiama il successivo, ogni piatto lo bisseresti, ogni menu vorresti non terminasse.
A partire dalla francescana “Cialda di grano saraceno e mais con pomodoro, caprino e lavanda”, amuse-bouche quasi sommesso, non invadente, che introduce al “Cetriolo sublimato, spuma di gin e vodka”, capace di rendere armonico quest’ortaggio così scontroso.
Poi, torna la souplesse, con l’eterea “Acqua di basilico rosso” nella quale – timidi e puliti per presenza e sapore – nuotano scampetti e fiori di tagete.
In crescendo, più incisivo, il “Calamaro, limone, dragoncello” introduce all’ormai classica, geniale, “Omelette di canocchia, ricci di mare, erba cedrina”.
Si cambia passo con la “Coda di rospo, bietole profumate, royale del suo fegato”, finezza e sostanza, e si passa in sicurezza a uno dei famosi “risi”: “in bianco”, al latte di capra con semi di sedano e polvere di caffè, con crema di vongole.

Cartellino giallo (sì, anche nel “Pranzo dell’Anno può” capitare) per i “Tortelli di pasta di patate, mandorle e capperi”, fuori posto nella sequenza del menu e così amari da anestetizzare il palato e da obbligare Fausto a servire prontamente uno dei suoi grandi vini per ripristinarne l’agibilità.
Superlativa la riscossa con due assi: “Agnello carota e cipresso” e “Piccione tiglio e tartufo”, inframmezzati dalla “Cipolla, aceto e miele di ailanto” a mo’ di sorbetto.

Magistrale chiusura con il “Sempreverde”, composto da cioccolato bianco, chartreuse, basilico, levistico e gelato al dragoncello, introdotto dalla “Zuppa di frutto della passione, gelato latte e miele di castagno, limone e aglio candito. Consiglio: portar con sé un Bignami di botanica.

Foto di Bob Noto gentilmente concesse dal Ristorante Povero Diavolo

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27 Comments

  1. Giovanni Lagnese ha detto:

    Non sono assolutamente d’accordo con i “difetti”. In un menù ci può essere il pianissimo e il fortissimo, e quest’ultimo non preclude la fruizione di ciò che viene dopo: non è difficile tornare ricettivi. Faccio notare che in culture gastronomiche diverse dalla nostra non è inusuale dover resettare il palato dopo alcune portate, per poter apprezzare quelle successive. Anche al Bulli capitavano “bótte” estreme sapide e/o amare a metà menù, per dirla tutta. Quod licet Iovi non licet bovi? Non credo sia un modo corretto di ragionare.
    Quanto al reputare consigliabile un Bignami di botanica, a mio avviso è un modo per indicare un pregio, non un difetto. È un meraviglioso complimento.

  2. Alessandra Meldolesi ha detto:

    Per come la vedo io, quella di Parini è una cucina che tesaurizza le conquiste dell’avanguardia, e penso soprattutto a Lopriore, senza abbracciare una filosofia gustativa strettamente avanguardista. Questa caratteristica, che spiega il differente successo di critica, a mio giudizio subisce come sempre il compasso delle personalità soggettive. Sempre a mio giudizio, i piatti più riusciti del Povero Diavolo non sono quelli più spinti, dove si perde un po’ la levità mozartiana del cuoco (citando Cauzzi). Cuoco che resta comunque talentuosissimo e a tratti geniale. Chapeau!

  3. gianni revello ha detto:

    Un abbraccio a tutto PG, felicitazioni per la quota 1000 raggiunta, gran premio della montagna gourmet festeggiato con un cuoco il cui valore meriterebbe di essere ulteriormente riconosciuto tanto a livello nazionale che internazionale.
    Ciao a tutti

  4. Enzo Vizzari ha detto:

    Puntualizzo: il “consiglio” di portar con sé un Bignami di botanica è stato impaginato dopo “i difetti” ma non intendevo affatto segnalarlo come “difetto”…

  5. Alessandra Meldolesi ha detto:

    Ciao Giovanni, infatti io non dubito della profondità di Parini. Solo la mia esperienza personale è quella di un mood post-avanguardista. Ricordo un tuo vecchio commento in cui lo invitavi a spingere sull’acceleratore e istintivamente concorderei, se la mia esperienza non mi dicesse che non sono quelli i suoi piatti più personali e più riusciti. Comunque faccio notare a Cauzzi che l’amaro, a giudicare da quanto scrive Vizzari, non manca.

    • Giovanni Lagnese ha detto:

      Per il momento non sono i più riusciti, è vero. Non sono i più poetici, certo.
      Ma sai, io vedo le cose per quel che possono essere, più che per quel che sono…

    • Giovanni Lagnese ha detto:

      Lopriore invece raggiungeva vertici di poesia assoluti sia col pianissimo sia col fortissimo, sia col dolce sia con l’amarissimo. Speriamo si ravveda.

  6. Emanuele Barbaresi ha detto:

    Un abbraccio e un caro saluto a tutti gli amici di PG. In questi anni avete fatto davvero un grande lavoro, migliorando progressivamente la qualità del sito e dei suoi contenuti. Chapeau, davvero. E per festeggiare la vostra millesima recensione non potevate scegliere un ristorante migliore…

  7. Alessandra Meldolesi ha detto:

    Caro Giovanni, ti stimo e mi interessa ciò che pensi. Non credi che in questo modo rischiamo di cercare in Parini un Lopriore in sedicesimo? O forse questa affabilità fa parte di lui (qualcuno ha parlato di “avanguardia popolare”, contro la dicotomia fra palato popolare e palato d’élite), e anche della sua formazione alle Calandre?

    • Giovanni Lagnese ha detto:

      Secondo me il punto è proprio questo: Parini paga ancora un tributo alla filosofia delle Calandre. Difficile non vedere nel pascoliano che è in Parini un riflesso del pascoliano che è in Alajmo. Il “vero” Parini deve ancora venire…

  8. alberto cauzzi ha detto:

    Visto che siamo in vena di traguardi vi annuncio che il prossimo pasto da Parini sarà il mio 70imo. L’invito che estendo a tutti è di frequentare non solo una volta, neanche un paio o tre, il Povero Diavolo.
    Per conoscere a fondo la cucina di Giorgio occorre ben più di un paio di pasti. Ma già a prima vista non si può non scorgere stile, personalità e talento.
    Non concordo affatto con il paragone Loprioriano. Ci sono punti di collegamento certo, ma con chi non ci sono e tra chi non ci sono ?
    In realtà, come ha scritto egregiamente Monsieur le Directeur, la cucina di Giorgio è sua e basta. La sua Avanguardia, certa e per molti versi ancora non scoperta sino in fondo (condivido Emanuele) sopratutto all’estero, è molto intensa, profonda e maledettamente proiettata verso il futuro, per tanti e tanti motivi. Giorgio è l’unico cuoco che io abbia mai visto con un istinto improvvisativo così elevato. E’ in grado di sfornare un piatto con due, tre ingredienti mai visti prima con una velocità ed una consistenza disarmanti. Ho provato più volte personalmente a metterlo alla prova ma non c’è stato verso. Lui ha dentro di se gli ingredienti e le loro iterazioni, una profonda padronanza della materia che gli orientali definirebbero maestria.

    • Giovanni Lagnese ha detto:

      Beh, non si possono visitare tutti i grandi 70 volte, è normale per varie ragioni dare più possibilità ad alcuni che ad altri. Certo, è notevole la capacità di non annoiare dopo 70 visite.
      Ribadisco però che se fossi in Parini farei meno concessioni al pubblico. Perché le concessioni al pubblico, nella sua cucina, ci sono. E non ci vogliono 70 visite per capirlo.

    • nico ha detto:

      cioè, finora sei stato al Povero Diavolo 69 volte?
      e in quanti anni?

  9. LuigiCremona ha detto:

    Complimenti a tutti, a Parini che è un grande chef (ancora piccolo solo nell’età), a Enzo per l’articolo e a tutta Passione Gourmet per l’impegno di questi anni

  10. alberto cauzzi ha detto:

    Io sono convinto che la cucina dei grandi si capisca ai primi contatti, per chi è avvezzo a certe frequentazioni.
    Un grande direttore come Enzo l’ha compreso mi pare con molta velocità.
    Volevo però appunto rimarcare ciò che tu hai rimarcato Giovanni, e cioè che la sua cucina è tutt’altro che ripetitiva e monotona. E poi, sul tema della concessione, lo sai che non concordo affatto. E’ la sua cifra stilistica, è un cuoco che ama fare cucina, e che quindi ama soddisfare gli istinti primordiali dei suoi commensali. E’ lui in questo ad essere perfettamente in contesto con il tema e il suo mestiere, forse meno altri, più egotici e più proiettati verso loro stessi che verso il cliente.

    • Giovanni Lagnese ha detto:

      Alberto, il problema è che se ti proietti verso il cliente ti precludi alcune strade possibili. Nessuno sta chiedendo a Parini di percorrerle. Io mi limito a far notare che, chiuso il Bulli e “cambiato” il Canto, Parini è uno dei pochi in Europa che _potrebbero_ percorrerle. Ciò non dà luogo a un dovere, sia chiaro. Ma sarebbe un peccato se certe strade fossero abbandonate da tutti. Attualmente lo sono, e rischiano di continuare ad esserlo. Ed è un peccato, un peccato terribile.
      Se poi tu mi dici che, se Parini avesse 5 milioni di euro di finanziamenti pubblici l’anno, e potesse scegliere su proprio invito i propri dieci (e non di più) clienti giornalieri, farebbe la stessa _identica_ cucina, ti posso anche credere. Ma io credo di no.

    • Giovanni Lagnese ha detto:

      Un altro grandissimo che accetta – pur con risultati sublimi – compromessi è Alija. I compromessi consistono nel fatto che sì, è vero che tutti i piatti in carta sono piatti in cui crede, ma non tutti i piatti in cui crede sono in carta. E perché? Per novantanove clienti su cento non capirebbero, o comunque non accetterebbero.
      Servono più pazzi, nel mondo, e meno persone assennate.

    • Giovanni Lagnese ha detto:

      Un altro posto dove ripassare è il Mugaritz. Non vedo molti altri nel mondo, a parte questi tre, in grado di portare avanti un certo tipo di discorso d’avanguardia.

  11. alberto cauzzi ha detto:

    Grazie Emanuele, Grazie Luigi, Grazie Gianni, Grazie a tutti

  12. TMC ha detto:

    Auguri a Passione Gourmet,1000 di queste recensioni e 1000 di questi cuochi con la C maiuscola.

    TMC

  13. Emanuele Barbaresi ha detto:

    Accidenti Alberto, 69 volte ci sei stato! Ti è bastata la prima, però, per capire che avevi di fronte un cuoco fuori dal comune, un talento assoluto. Un cuoco che, e mi sento di dirlo anche se lì sono stato 64 volte in meno, è il migliore d’Italia di questa prima parte del secolo.
    Ricordo ancora la tua telefonata, era una sera di fine 2008, in cui mi hai annunciato di esserti imbattuto in qualcosa di eccezionale. Risultato: nella pubblicazione semi-clandestina a cui collaboravi hai avuto il coraggio di issare quel cuoco sconosciuto al livello di gente come Gagnaire o Bottura. Una stravaganza, sembrava allora. Sembrava, appunto. E questo sia detto soltanto per ricordare chi aveva capito che cosa.

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